Sono due gli eventi che mi hanno fatto decidere di scrivere questo articolo: il primo è una lezione tenuta dalla dott.ssa Iva Ursini che ha portato alla mia attenzione l’importanza di separare queste tre situazioni e condizioni, mentre il secondo evento riguarda le foto, circolate recentemente sui social, dei quel “padre biologico” che nel giorno del matrimonio della propria figlia insiste affinché anche il “padre putativo” l’accompagnasse all’altare. Il web si è sciolto in un effluvio di lacrime di commozione e di commenti inneggianti l’amore genitoriale e io non ho resistito alla tentazione di scriverci sopra qualche riga.
Perciò, iniziamo.
In origine ci fu la coppia…due entità che decidono di passare la propria vita insieme, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, o per lo meno, decidono di rispettarsi, amarsi, aiutarsi, farsi compagnia e affrontare le avversità insieme. Ecco, questa si chiama coniugalità. E’ un modo totalmente nuovo di essere, vivere e agire: non si è più solo figli o, al massimo, fidanzati. Se si litiga non si potrà più spegnere il cellulare e lasciar passare giorni di silenzio come forma di punizione per l’altro (controllando, nel frattempo, quasi ossessivamente, se questo ‘altro’ ci ha chiamato per chiederci scusa o no). Ora bisogna dimostrare di essere adulti, di aver imparato a gestire i conflitti, di essere in grado di mediare, di continuare a voler stare con una persona, dormire e svegliarsi con lei accanto, nonostante si abbia avuto un forte litigio proprio la sera prima. Bisogna essere in grado di vivere un amore maturo, lontano da quell’idillio che è stata la fase precedente, ovvero, quel miscuglio di ormoni e fette di salame sugli occhi, che è l’innamoramento (fase in cui, la maggior parte delle volte, si decide di fare questo grande passo). Bisogna scegliere la persona che ci è accanto, ogni giorno, nonostante più la conosciamo più capiamo che non è quella meravigliosa creatura che pensavamo quando l’abbiamo vista per la prima volta, ma una persona reale, con i suoi pregi e i suoi difetti…anch’essi reali. La decisione di vivere insieme, di avere un progetto lungo una vita, è una decisione che cambia radicalmente la persona e la sua concezione di sé e dell’altro. Non sei più figlio/a, ora sei compagno/a e marito/moglie. La tua famiglia, adesso, è formata da due membri: si deve lasciare la famiglia di origine, quel nido che per molti è stato così confortevole, mentre per altri è stato un vero incubo, ma che per la maggior parte delle persone è stata casa, semplicemente, e abituarsi a un altro nido, nuovo, ancora in fase di costruzione, forse un po’ traballante e meno sicuro del precedente, ma pieno di possibilità. Non è uno scherzo!
Spesso dalla ‘coppia coniugale’, viene espresso il desiderio di diventare una ‘coppia genitoriale’. E qui la situazione si complica ulteriormente, perché solitamente si pensa “ok, vogliamo un figlio, facciamolo, diventiamo genitori! E’ anche divertente fare figli, perciò, perché no?”. Il problema è che spesso si scorda o non si prende proprio in considerazione la sottile ma importante differenza tra ‘generatività’ e ‘genitorialità’. Termini un po’ altisonanti e non proprio comuni, più conosciuti nel mondo adottivo che in quello della procreazione naturale/biologica. Ma anche i genitori che mettono al mondo figli nel modo più tradizionale possibile, anche loro dovrebbero comprendere questa differenza, perché diventare genitori è una cosa completamente diversa dall’essere genitori
“Generare” significa essere in grado di concepire e mettere al mondo un bambino. Punto. Certo, ci sono mille accezioni di questo termine, ma per gli scopi di questo articolo, è meglio fermarsi a questo, senza scomodare tutte le varie teorie psicodinamiche del caso. Prendiamola molto easy: se si è ‘generativi’ vuol dire che non si è sterili, ovvero, vuol dire che il proprio apparato riproduttivo funziona bene. Ciò significa che si potranno mettere al mondo figli finché si avrà voglia o finché il corpo lo potrà reggere. In particolare, per la donna significa l’aver tenuto in pancia per nove mesi il proprio bambino e di averlo fatto nascere attraverso il parto. Per l’uomo è assimilabile, per lo più, all’essere riuscito a fecondare la donna, dando prova della propria ‘potenza’ e virilità. Non aggiungerò altri orpelli a questo tema, non metterò particolari emozioni o sentimenti all’interno della generatività, perché voglio che in questa sede venga intesa solo in questo modo: un processo biologico, ovvero, il ‘diventare genitori’.
La genitorialità, invece, è ‘l’essere genitori’. Ovvero, crescere quel bambino, sentirlo come figlio proprio e accettarlo come tale. Provare amore sconfinato per quell’esserino e metterlo prima di ogni cosa (almeno nella fase iniziale). Desiderare di prendersi cura di lui. Educarlo, stargli accanto, insegnargli a stare nel mondo, a gestire e a sentire le proprie emozioni, proteggerlo e permettergli di esplorare in sicurezza le sue risorse e l’ambiente che lo circonda, permettergli di crescere diventando un adulto capace e autonomo, ma con solide radici piantate nella propria famiglia d’origine. Non solo, significa una nuova ristrutturazione delle immagini che i genitori stessi hanno di sé e dei propri genitori: non si è più solo figli, e neanche compagni, ora si è genitori, proprio come il proprio papà e la propria mamma. E’ un passaggio epocale per la vita di ogni persona, una rivoluzione di tutto ciò che si pensava e sapeva della vita e di se stessi. E’ una trasformazione che parte dal profondo e che influenza ogni singolo ambito di vita. Questa è la genitorialità, questo è ‘essere genitore’.
La genitorialità può conseguire alla generatività e prima ancora alla coniugalità, ma non è detto. Certo, questa sarebbe la situazione ideale, ma non è sempre così: si può essere una coppia affiatata, ma che rifiuta o non può generare o non esprime la propria genitorialità attraverso un figlio. Si può essere generativi, avendo concepito e/o partorito un bambino, senza sentirsi genitore o non agendo come tale (questi sono i casi più problematici). Infine, si può essere il fantastico genitore di un bambino non concepito o partorito, oppure mantenere la propria genitorialità anche dopo che si è spezzato l’aspetto coniugale. (Perché, ricordiamolo, quello si può spezzare, l’aspetto genitoriale no. Due coniugi si possono separare, ma il ruolo genitoriale non potrà mai venire meno). Queste tre situazioni hanno vita propria: insieme si rafforzano e si uniscono mentre, prese singolarmente, danno vita ad altri scenari, forse meno convenzionali, ma non per questo meno importanti o costruttivi.
Per ragioni di spazio mi devo fermare qui, e trattare solo superficialmente questi temi, che invece meriterebbero numerosi approfondimenti, ma una cosa voglio sottolinearla: ritornando alle foto dei due padri che accompagnano la figlia all’altare, penso che, almeno per quanto riguardi la generatività e la genitorialità, non ci sia modo migliore per esprimere tali concetti e che quando la generatività si fonde con l’onestà (con se stessi e con gli altri) allora ciò che può derivarne diventa davvero speciale e arricchente per chiunque viva momenti e situazioni del genere. Terminerò con le parole di Brittany Peck, la ragazza che ha postato queste foto:
“Todd Bachman, padre della sposa, ha portato la sua ragazza all’inizio della navata… ha fermato la cerimonia, con le persone confuse dal suo gesto, ed è andato verso il patrigno di sua figlia. L’ha preso per mano e l’ha portato nella navata perché portassero la “loro” figlia all’altare insieme. […]Congratulazioni Todd Bachman per aver mostrato ai tuoi figli cosa sia il vero amore… l’amore per i tuoi figli”
Credits: foto titolo
Piaciuto?
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Esempio mirabile, quello di Todd. Il mestiere di genitore è il più difficile al mondo. Per fortuna la psicologia, e gli psicologi, ci tendono una mano.
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